L’ascolto attivo: tra empatia, consapevolezza e risonanza emotiva
“La cosa più importante nella comunicazione è ascoltare ciò che non viene detto.”
— Peter F. Drucker
Nel mio lavoro mi confronto quotidianamente con la complessità dell’ascolto. Molto spesso le persone confondono l’atto del sentire con quello dell’ascoltare, come se il solo percepire parole fosse sufficiente a costruire una relazione autentica. In realtà, ascoltare davvero significa entrare in contatto con l’altro in modo profondo, empatico e consapevole.
Oltre le parole: comunicare con presenza
Siamo immersi in una società che parla molto, ma ascolta poco. Nelle interazioni quotidiane tendiamo a sovrapporre le nostre risposte mentre l’altro sta ancora parlando, spinti dall’urgenza di dire la nostra opinione. Tuttavia, comunicare efficacemente implica prima di tutto accogliere il mondo dell’altro senza invaderlo.
L’ascolto attivo richiede presenza mentale, sospensione del giudizio e disponibilità emotiva. Implica riconoscere e comprendere i segnali verbali e non verbali, i contenuti ma anche il contesto emotivo in cui vengono espressi. Richiede una disponibilità ad accogliere anche ciò che ci disturba, ciò che non capiamo subito, ciò che mette in crisi le nostre certezze.
La dimensione psicologica dell’ascolto
L’ascolto attivo è una competenza relazionale chiave in ogni contesto umano: dalla famiglia al lavoro, dalla relazione d’aiuto ai rapporti amicali. Secondo l’approccio umanistico di Carl Rogers, l’ascolto empatico si basa su tre condizioni fondamentali: congruenza, accettazione incondizionata e comprensione empatica. In altre parole, si tratta di creare uno spazio relazionale sicuro, in cui l’altro possa sentirsi visto, riconosciuto e accolto.
Quando l’ascolto è autentico, si attiva una risonanza emotiva: i nostri stati interni si sintonizzano su quelli dell’altro. È un fenomeno studiato anche dalle neuroscienze attraverso i cosiddetti neuroni specchio, che ci permettono di “sentire con” l’altro, oltre la logica, oltre le parole.
Ascoltare è trasformare
Ascoltare veramente implica una trasformazione reciproca. Chi ascolta cambia, perché percepisce in modo più sottile e raffinato; chi è ascoltato cambia, perché si sente riconosciuto e accolto. È questo il potere terapeutico dell’ascolto: non serve risolvere, spiegare o consolare, ma esserci. In silenzio, in presenza, in verità.
Il silenzio attivo, in questo contesto, non è assenza ma apertura: è il contenitore che permette alla parola autentica di emergere. Come scrive Eckhart Tolle, “ciò che sta tra le parole è più importante delle parole”. In terapia, spesso è proprio quel “tra” a rendere possibile la trasformazione.
Gli errori da evitare
Esistono comportamenti che ostacolano un ascolto di qualità. In ambito clinico li riconosco rapidamente: sono quei momenti in cui il paziente si ritrae, cambia tono, si chiude. Alcuni degli atteggiamenti da evitare includono:
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dare consigli prematuri;
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formulare giudizi affrettati;
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minimizzare o razionalizzare le emozioni altrui;
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interrompere o riportare l’attenzione su di sé;
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ascoltare solo per confermare le proprie idee (ascolto confermativo);
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lasciarsi distrarre da pensieri o attività parallele (ascolto “in cloud”).
Un ascolto efficace, al contrario, si fonda su attenzione selettiva, empatia emotiva, regolazione del proprio mondo interno. Si tratta di una forma di meditazione relazionale, in cui si impara a sospendere l’ego per fare spazio all’altro.
Educarsi all’ascolto
Come psicologa, credo che educare all’ascolto sia una delle priorità della nostra epoca, dominata da comunicazioni superficiali e rapide. Il mio invito, che rivolgo anche nei percorsi formativi e nei laboratori esperienziali che conduco, è di riscoprire l’ascolto come pratica trasformativa, come gesto di cura e di presenza.
L’ascolto attivo non è solo una tecnica, ma una disposizione interiore. È il primo passo per costruire relazioni autentiche e, in fondo, per ritrovare noi stessi.
“La nostra prima reazione di fronte all’affermazione di un altro è una valutazione o un giudizio, anziché uno sforzo di comprensione.”
— Carl Rogers




